
Il carbon farming: l’agricoltura può salvare il clima?
Maggio 30, 2025
Tecnologia
Quando pensiamo alle cause del cambiamento climatico, raramente ci viene in mente un campo coltivato. Eppure, secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il settore agricolo e quello forestale rappresentano insieme circa un quarto delle emissioni antropiche globali di gas serra. Una parte significativa di queste emissioni non deriva dalla produzione di vegetali per l’alimentazione umana, ma dal fatto che una quota consistente delle colture agricole viene destinata all’alimentazione animale, in particolare nei sistemi di allevamento intensivo. Questo modello, oltre a comportare un uso massiccio di fertilizzanti chimici e combustibili fossili, contribuisce alla deforestazione, all’erosione dei suoli e alla perdita di biodiversità. Tuttavia, negli ultimi anni si è fatta strada una visione alternativa, capace di ribaltare il ruolo dell’agricoltura nel bilancio climatico globale: quella del carbon farming, o agricoltura del carbonio. Il principio è tanto semplice quanto rivoluzionario: usare il suolo come una “spugna” per catturare e immagazzinare CO₂, trasformando ogni ettaro coltivato in un alleato contro il riscaldamento globale. E la scienza conferma che questa visione non è utopica: secondo uno studio pubblicato su Nature Communications (2020), l’adozione su larga scala di pratiche rigenerative potrebbe sequestrare fino a 5 miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno, contribuendo significativamente agli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi.

Cos’è il carbon farming e come funziona?
Il carbon farming è un insieme di tecniche agricole che mirano ad aumentare il contenuto di carbonio organico nei suoli attraverso pratiche sostenibili e rigenerative. Non si tratta solo di “non inquinare”, ma di attivamente catturare CO₂ atmosferica tramite la fotosintesi delle piante, che la trasformano in biomassa e sostanza organica nel terreno. Più il suolo è ricco di carbonio, maggiore è la sua fertilità e capacità di trattenere acqua, con benefici che si estendono a biodiversità, produttività e resilienza climatica.
Tra le pratiche più efficaci del carbon farming, alcune si stanno dimostrando particolarmente promettenti. Una di queste è l’agroforestazione, che prevede l’integrazione di alberi e colture all’interno dello stesso appezzamento: un approccio che stimola la fotosintesi su più livelli e contribuisce a immagazzinare una maggiore quantità di carbonio nel suolo e nella biomassa vegetale.
Anche l’uso delle cover crops, ovvero le colture di copertura seminate tra un raccolto e l’altro, svolge un ruolo chiave. Queste piante non solo proteggono il suolo dall’erosione e dalle intemperie, ma ne migliorano la struttura e la capacità di trattenere l’umidità e i nutrienti.
Il compostaggio avanzato e l’impiego del biochar – una forma di carbone vegetale stabile ottenuta dalla pirolisi di residui organici – consentono invece di restituire carbonio al terreno in forma stabile, migliorandone la fertilità e riducendo le emissioni di gas serra.
Fondamentale è anche la rotazione delle colture, combinata con una maggiore diversificazione: alternare le colture riduce la pressione sulle risorse naturali, limita l’uso di fertilizzanti chimici e favorisce un ciclo più equilibrato di nutrienti nel terreno.
Infine, il pastoreggio rotazionale – ovvero la gestione dinamica del pascolo – può rigenerare le praterie e favorire l’assorbimento di carbonio grazie all’azione combinata del bestiame e della vegetazione in ripresa.
Secondo la FAO, ogni tonnellata di carbonio organico immagazzinata nel suolo permette di evitare l’emissione in atmosfera di 3,67 tonnellate di CO₂ equivalente. Tuttavia, perché il carbon farming sia realmente efficace, è essenziale che queste pratiche siano monitorate e certificate in modo trasparente. È proprio questo l’obiettivo dell’iniziativa internazionale “4 per 1000”, lanciata nel corso della COP21, che punta ad aumentare lo stock di carbonio nei suoli dello 0,4% ogni anno, come misura concreta per contrastare il riscaldamento globale.

Benefici concreti: tra ambiente, economia e resilienza
Il sequestro di carbonio nel suolo è solo uno dei vantaggi. Le pratiche rigenerative aumentano la fertilità naturale del terreno, riducendo la necessità di fertilizzanti chimici e pesticidi. Questo significa meno costi per gli agricoltori e meno inquinamento per l’ambiente. Inoltre, terreni più ricchi di carbonio trattengono meglio l’acqua, riducendo il rischio di siccità e migliorando la resilienza delle colture ai cambiamenti climatici.
Dal punto di vista economico, il carbon farming apre la porta anche ai mercati dei crediti di carbonio. Agricoltori e aziende agricole possono essere remunerati per il carbonio sequestrato, vendendo “carbon credit” a imprese che vogliono compensare le proprie emissioni. La piattaforma Soil Capital, attiva in Francia, Belgio e Regno Unito, è uno dei primi esempi in Europa: nel 2023 ha distribuito oltre 2 milioni di euro a circa 500 agricoltori partner, attraverso crediti certificati da Verra e Gold Standard.
E in Italia? L’Università di Bologna, insieme a numerose aziende agricole dell’Emilia-Romagna, ha avviato il progetto CarboSOIL, che sperimenta tecniche rigenerative in aziende pilota. A livello istituzionale, il Piano Strategico della PAC 2023–2027 italiano prevede specifici eco-schemi per incentivare pratiche come le cover crops e l’agricoltura conservativa. Nel frattempo, alcune regioni, come la Toscana e il Veneto, stanno includendo criteri legati al sequestro di carbonio nei bandi per i finanziamenti agricoli.
Anche a livello globale i progetti si moltiplicano: dal Terraton Initiative negli USA, che mira a sequestrare un miliardo di tonnellate di carbonio nel suolo, al progetto Regenerative Organic Certified che coinvolge centinaia di produttori biologici in tutto il mondo.

Una transizione necessaria, non opzionale
Il carbon farming non è una bacchetta magica e da solo non basterà a risolvere la crisi climatica. Tuttavia, rappresenta una strategia concreta, scalabile e replicabile per rigenerare i suoli, ridurre le emissioni e migliorare la sostenibilità dell’agricoltura. È anche un’opportunità per ridare centralità al ruolo dell’agricoltore come custode del territorio e protagonista della transizione ecologica. La chiave sarà integrare queste pratiche nei sistemi produttivi esistenti, supportandole con incentivi economici, formazione e un robusto sistema di verifica del carbonio sequestrato.
Come ha affermato il World Resources Institute (2023), “La rigenerazione dei suoli agricoli è tra le azioni climatiche più sottovalutate ma potenzialmente più impattanti.” Se il suolo può tornare a essere un pozzo di assorbimento e non solo una fonte di emissioni, allora l’agricoltura non sarà più solo parte del problema, ma anche parte essenziale della soluzione.
Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change
FAO – Emissioni di gas serra dai sistemi agroalimentari
Studio sul sequestro di carbonio nei suoli agricoli
Agricoltura rigenerativa e carbon farming